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DISLIPIDEMIE

DISLIPIDEMIE

INTRODUZIONE

I lipidi, dal greco “lipos” grasso, sono dei composti eterogenei che svolgono nell’organismo umano un importante ruolo energetico e funzionale ed un essenziale ruolo strutturale come componenti delle membrane cellulari. I lipidi più rilevante dal punto di vista alimentare sono gli acidi grassi, fonte energetica e precursori metabolici, i trigliceridi, principale riserva energetica dell’organismo, e il colesterolo, precursore degli ormoni steroidei e degli acidi biliari.
La peculiarità che contraddistingue questi composti organici è l’insolubilità in acqua, per la quale essi necessitano di essere veicolati nel plasma da complessi molecolari chiamati lipoproteine, costituiti da un core centrale lipidico composto da trigliceridi e colesterolo esterificato e da un mantello periferico composto da lipidi che possiedono un gruppo polare come i fosfolipidi, da colesterolo libero e da specifiche proteine chiamate apoproteine.
Le apoproteine stabilizzano l’intero complesso, rappresentano i cofattori necessari per l’attivazione degli enzimi deputati al metabolismo delle lipoproteine e i ligandi per i recettori cellulari deputati al catabolismo delle stesse.
Le lipoproteine sono classificate in base alla loro densità, inversamente proporzionale al loro contenuto lipidico, e alla loro mobilità elettroforetica. Possiamo, infatti, distinguere:

  • CHILOMICRONI, le particelle più grandi con densità minore, prive di mobilità elettroforetica;
  • VLDL (very low density lipoproteins)
  • IDL (intermediate density lipoproteins)
  • LDL (low density lipoproteins)
  • HDL (high density lipoproteins)

L’assorbimento dei trigliceridi introdotti con l’alimentazione, avviene a livello intestinale grazie all’azione combinata della lipasi secreta dal pancreas e dei sali biliari, che porta alla formazione di aggregati idrosolubili, chiamati micelle, che veicolano i lipidi all’interno degli enterociti, permettendone la diffusione attraverso la membrana plasmatica. I monogliceridi e gli acidi grassi, una volta entrati nella cellula intestinale, vengono trasformati nuovamente in trigliceridi e secreti nel circolo linfatico sotto forma di chilomicroni. Il contributo dietetico giornaliero al pool di colesterolo intestinale è in media di 300 mg, che vanno ad aggiungersi nel lume intestinale ai circa 1000 mg di colesterolo contenuti nella bile; in media circa il 50% della quantità totale di colesterolo presente nell’intestino viene assorbito, mentre il resto viene eliminato con le feci.
L’intestino umano è in grado di discriminare l’assorbimento di colesterolo da quello degli steroli vegetali o fitosteroli: mentre il colesterolo, come detto in precedenza, è assorbito per circa il 50%, la percentuale di fitosteroli assorbita è di norma <2%. Anche il processo di assorbimento del colesterolo ha inizio nel lume intestinale dove grazie all’azione della bile e degli enzimi pancreatici viene emulsionato in micelle in grado di attraversare la fase acquosa che sta a contatto con le membrane cellulari degli enterociti. Il colesterolo compete con i fitosteroli per l’uptake da parte degli enterociti. Il trasporto intracellulare del colesterolo è mediato dalla proteina di membrana NPC1L1, localizzata sia a livello intestinale che epatico, dove la sua funzione è quella di catturare il colesterolo dalla bile e re-internalizzarlo negli epatociti. Una volta all’interno dell’enterocita il colesterolo può subire differenti destini:

  1. essere risecreto nel lume intestinale ad opera di ABCG5 e 8 e di ABCA1;

i trasportatori ABCG5 e ABCG8 sono espressi sulla membrana apicale dell’enterocita così come a livello del polo biliare dell’epatocita; essi riducono l’assorbimento intestinale di colesterolo e ne favoriscono la secrezione biliare che rappresenta la principale via attraverso la quale il colesterolo endogeno viene eliminato dall’organismo. L’azione dell’eterodimero ABCG5-G8, sia a livello intestinale che a livello canalicolare epatico, controbilancia l’azione del trasportatore NPC1L1. È verosimile, inoltre, che l’esistenza di meccanismi opposti e complementari che mediano il flusso di colesterolo in entrata (NPC1L1) e in uscita (ABCG5/ ABCG8) nelle stesse regioni della membrana plasmatica, serva a regolare in maniera dinamica, il contenuto di colesterolo di membrana.

  1. essere esterificato da ACAT2 e prendere la via del reticolo endoplasmatico dove, insieme ai trigliceridi, verrà assemblato ad opera della MTP (microsomal triglyceride transfer protein) sull’apolipoproteina B48 per dare origine ai chilomicroni nascenti.

Di recente è stato dimostrato che gli enterociti assemblano non solo chilomicroni ma anche HDL. Esistono quindi due meccanismi di assemblaggio e secrezione delle lipoproteine intestinali, tra loro complementari, che possono essere suddivisi in: vie dipendenti da ApoB (chilomicroni) e vie indipendenti da ApoB (HDL). Il trasportatore ABCA1, la cui espressione è regolata dal contenuto intracellulare di colesterolo, agisce facilitandone l’efflusso dallo strato esterno della membrana plasmatica ad un accettore extracellulare rappresentato dall’apolipoproteina A1.
I chilomicroni trasportano al fegato e ai tessuti periferici i prodotti di digestione dei grassi introdotti con la dieta; tale trasferimento è mediato dall’apoproteina C2, principale proteina attivatrice della lipoproteinlipasi, enzima che idrolizza i trigliceridi presenti nelle lipoproteine rendendo disponibili gli acidi grassi  per  l’assorbimento cellulare. I chilomicroni poveri di trigliceridi e contenenti ancora tutto il colesterolo originario denominati chilomicroni remnants vengono captati dal fegato.
Le VLDL vengono sintetizzate dal fegato e sono costituite prevalentemente da trigliceridi endogeni, da una piccola quantità di colesterolo e dall’apoproteina B100: la rimozione dei trigliceridi dal circolo è inversamente proporzionale alla loro concentrazione.
Il prodotto del catabolismo delle VLDL, depauperato dei trigliceridi, è rappresentato dalle IDL e, soprattutto, dalle LDL che veicolano quasi esclusivamente colesterolo, trasportandolo al fegato e ai tessuti periferici; il legame delle LDL al loro recettore è mediato dalla apoproteina B100.
Le HDL vengono sintetizzate a livello epatico ed intestinale e sono costitutite da apoproteina A1 e A2; una volta entrate in circolo acquisiscono le particelle lipidiche residue provenienti dal catabolismo dei chilomicroni e delle VLDL e rappresentano il principale veicolo attraverso il quale il colesterolo viene trasportato dai tessuti periferici al fegato.

DEFINIZIONE

Per dislipidemia si intende un alterazione del profilo lipidico plasmatico. Poiché i livelli dei lipidi plasmatici sono rappresentati da una scala continua, è necessario che vengano stabiliti dei valori oltre i quali la loro alterazione possa essere considerata “patologica”.
Come riportato in precedenza, il compito fondamentale delle lipoproteine plasmatiche è quello di trasportare i lipidi nel plasma; mentre le LDL trasportano il colesterolo dal fegato ai tessuti contribuendo al suo accumulo nell’endotelio vascolare tanto da meritarsi l’appellativo di “colesterolo cattivo”, le HDL veicolano il colesterolo in direzione opposta comportandosi come una sorta di spazzini metabolici e guadagnando in tal modo il titolo di “colesterolo buono”. E’, quindi , intuitivo capire come alterazioni in eccesso del colesterolo LDL, e di parametri ad esso associati come il colesterolo non-HDL e l’apoproteina B100, e in difetto del colesterolo HDL rappresentino dei fattori di rischio per lo sviluppo dell’aterosclerosi.
Inoltre, nel contesto della sindrome metabolica, viene considerata “dislipidemia aterogena” quella condizione che include un lieve-moderato incremento del colesterolo LDL, una moderata ipertrigliceridemia, la presenza di LDL piccole e dense ed un basso valore di colesterolo HDL.
Gli endocrinologi dell’American College of Endocrinology (ACE) e l’American Association of Clinical Endocrinologists (AACE), nelle nuove raccomandazioni sulla gestione della dislipidemia e la prevenzione delle malattie cardiovascolari pubblicate nel 2017, hanno proposto obiettivi terapeutici diversificati in base al profilo di rischio cardiovascolare, al fine di ottimizzare la gestione del paziente dislipidemico. I pazienti sono stati stratificati in 5 classi di rischio cardiovascolare. Le linee guida suggeriscono di calcolare il rischio a 10 anni di un evento coronarico mediante una valutazione dettagliata utilizzando carte del rischio 
(Framingham, MESA, Reynolds, UKPDS) che tengano conto di singoli parametri come età, genere, abitudine al tabagismo, valori pressori o utilizzo di farmaci anti-ipertensivi, profilo lipidico, indici di funzionalità renale, familiarità per eventi cardiovascolari aterosclerotici, anamnesi patologica positiva per pregressi eventi cardio- e/o cerebro-vascolari e presenza di adiposità viscerale. (Prenota una visita specialistica cardiologica).

  • Sono considerati soggetti a rischio basso quelli che non presentano fattori di rischio; per tale categoria di pazienti gli obiettivi terapeutici sono: C-LDL <130 mg/dl e C-non HDL <160 mg/dl.
  • Sono considerati soggetti a rischio moderato quelli che presentano fino a 2 fattori di rischio ed uno score risk a 10 anni <10%; per tale categoria di pazienti gli obiettivi terapeutici sono: C-LDL <100 mg/dl, C-non HDL <130 mg/dl e Apo B <90 mg/dl.
  • Sono considerati soggetti a rischio elevato quelli che presentano più di 2 fattori di rischio, uno score risk a 10 anni compreso tra il 10% e il 20% oppure quelli affetti da diabete mellito o insufficienza renale al 3-4° stadio senza fattori di rischio ulteriori ; per tale categoria di pazienti gli obiettivi terapeutici sono: C-LDL <100 mg/dl, C-non HDL <130 mg/dl e Apo B <90 mg/dl.
  • Sono considerati soggetti a rischio molto elevato quelli con anamnesi patologica positiva per pregressi eventi cardio- e/o cerebro-vascolari o arteriopatia carotidea e/o periferica e uno score risk a 10 anni >20%, quelli con diabete mellito o insufficienza renale al 3-4° stadio con più di 1 fattore di rischio e quelli affetti da ipercolesterolemia familiare; per tale categoria di pazienti gli obiettivi terapeutici sono: C-LDL <70 mg/dl, C-non HDL <100 mg/dl e Apo B <80 mg/dl.
  • Sono considerati soggetti a rischio estremo quelli con malattia cardio-vascolare progressiva nonostante l’ottenimento dei suddetti target terapeutici, quelli con diabete mellito o insufficienza renale al 3-4° stadio o ipercolesterolemia familiare e malattia cardiovascolare aterosclerotica e quelli con malattia cardiovascolare aterosclerotica precoce (M<55aa, F<65aa); per tale categoria di pazienti gli obiettivi terapeutici sono: C-LDL <55 mg/dl, C-non HDL <80 mg/dl e Apo B <80 mg/dl.

Sulla base delle raccomandazioni dell’American Academy di Pediatria, in una popolazione composta da bambini e adolescenti valori di LDL-C <100 mg/dL sono considerati “accettabili”, valori compresi tra 100 e 129 mg/dL “borderline” e  valori ≥130 mg/dL “alti”. Il colesterolo HDL deve essere >40 mg/dL, con un effetto protettivo che aumenta proporzionalmente all’ottenimento di  valori più elevati. Per quanto riguarda i trigliceridi deve essere perseguito un target  <150 mg/dl.

CLASSIFICAZIONE

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato convenzionalmente la classificazione delle dislipidemie in sei tipi secondo Fredrickson, la quale non tiene conto della causa o dell’eventuale base genetica della dislipidemia, ma solo del fenotipo, del conseguente aspetto del siero e dei livelli di lipoproteine presenti:

  • I: IPERCHILOMICRONINEMIA
  • IIA: IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE – IPERCOLESTEROLEMIA POLIGENICA – IPERLIPIDEMIA FAMILIARE COMBINATA
  • IIB: IPERLIPIDEMIA FAMILIARE COMBINATA
  • III: DISBETALIPOPROTEINEMIA
  • IV: IPERTRIGLICERIDEMIA FAMILIARE
  • V: IPERLIPIDEMIA FAMILIARE COMBINATA

EZIOLOGIA

Cause primarie genetiche e secondarie multifattoriali possono contribuire al manifestarsi delle dislipidemie in gradi diversi.
Cause primarie
Le cause primarie sono rappresentate da mutazioni genetiche singole o multiple che possono compromettere la sintesi, la secrezione, l’attività e/o l’affinità di legame delle molecole coinvolte in ogni singola tappa del metabolismo lipidico, dalle proteine di membrana che mediano l’assorbimento e l’efflusso dei lipidi da parte delle cellule epatiche e intestinali, alle singole apo-proteine necessarie per la veicolazione, dagli enzimi implicati nel catabolismo delle lipoproteine ai recettori necessari per il loro trasporto intracellulare.
Si può, dunque, in maniera semplicistica, ricondurre la dislipidemia di tipo I ad un ridotto catabolismo dei chilomicroni, la dislipidemia di tipo IIA ad un ridotto catabolismo delle LDL, la dislipidemia di tipo IIB ad un incremento della sintesi delle VLDL, la dislipidemia di tipo III ad un ridotto catabolismo dei chilomicroni remnants e delle VLDL, la dislipidemia di tipo IV  ad un incremento della  sintesi delle VLDL con normale catabolismo delle stesse o ad un ridotto catabolismo delle VLDL con normale sintesi delle stesse ed, infine, la dislipidemia di tipo V ad un ridotto catabolismo delle VLDL.
Cause secondarie
Le eventuali cause secondarie devono essere valutate al momento della diagnosi al fine di poter effettuare una corretta diagnosi differenziale.
Tra le cause che possono essere correlate ad una condizione di ipercolesterolemia (colesterolo totale e LDL) vanno segnalate:

  • Ipotiroidismo;
  • Nefropatia cronica
  • Disgammaglobulinemia (LES, Mieloma multiplo);
  • Cirrosi biliare primaria e altre epatopatie ad impronta colestatica;
  • Trattamento con progestinici, prevalentemente con attività androgenica, e con steroidei anabolizzanti;

Tra le cause che, invece, possono essere correlate ad una condizione di ipertrigliceridemia (trigliceridi e VLDL) vanno segnalate:

SINTOMATOLOGIA

La dislipidemia di per sè non provoca sintomi, ma può condurre a una arteriopatia sintomatica, coinvolgendo il distretto coronarico, carotideo e periferico con il conseguente corredo sintomatologico associato. Elevati livelli di trigliceridi (>1000 mg/dl) possono provocare coliche addominali con localizzazione iniziale epigastrica e successiva irradiazione a tutto l’addome, che insorgono improvvisamente e possono accompagnarsi a febbre e leucocitosi, fino a sfociare in episodi di pancreatite acuta. Può coesistere anche cefalea probabilmente legata all’iperviscosità ematica dovuta alla chilomicronemia.
Livelli molto elevati di colesterolo LDL, riscontrati prevalentemente nelle forme primarie ad esordio precoce, possono presentarsi con dei segni clinici caratteristici come il gerontoxon, arco corneale lipidico che consiste in un’area anulare ai margini della cornea, gli xantomi cutanei, tendinei e tuberosi e gli xantelasmi, depositi di colesterolo localizzati tra la palpebra superiore e l’angolo nasale.
Anche concentrazioni estremamente elevate di trigliceridi sono correlata alla comparsa di una lesione cutanea tipica, gli xantomi eruttivi, papule giallastre rilevate e circondate da un alone rosso, non pruriginose, localizzate prevalentemente sulla superficie estensoria degli arti e dei glutei; altri sintomi tipici sono la lipemia retinalis e l’epato-splenomegalia. (Prenota un’ecografia addominale).

SCREENING E DIAGNOSI

Le dislipidemie primarie devono essere sospettate quando un paziente manifesta i segni obiettivi della dislipidemia in presenza di un’anamnesi familiare e/o patologica positiva per malattia cardiovascolare aterosclerotica precoce. Le raccomandazioni AACE/ACE suggeriscono, infatti, di sottoporre a screening per l’ipercolesterolemia familiare, tutti i soggetti ipercolesterolemici che presentino una storia familiare di: malattia cardio-vascolare aterosclerotica precoce (infarto miocardico o morte improvvisa prima dei 55 anni nel padre o altro parente di primo grado di genere maschile o prima dei 65 anni nella madre o altro parente di primo grado di genere femminile) e/o livelli elevati di colesterolo al di sopra del 95° percentile per età e genere compatibili con ipercolesterolemia familiare in un familiare di primo grado. (Prenota una visita specialistica cardiologica).
Nei bambini a rischio di ipercolesterolemia familiare lo screening deve essere effettuato a 3 anni, di nuovo tra i 9 e gli 11 anni e ancora a 18 anni.
Negli adolescenti di età superiore a 16 anni viene proposto uno screening ogni 5 anni o più frequentemente se presentano fattori di rischio cardiovascolare, sono sovrappeso o obesi, presentano elementi della sindrome da insulino-resistenza o hanno un’anamnesi familiare positiva per malattia cardiovascolare aterosclerotica ad insorgenza precoce.
Tutti gli adulti di età pari o superiore a 20 anni dovrebbero essere sottoposti a screening per la dislipidemia ogni 5 anni come parte di una valutazione del rischio cardiovascolare globale.
Nei soggetti di mezza età (M 45-65 aa; F 55-65 aa), in assenza di fattori di rischio cardio-vascolare, è opportuno effettuare un controllo ogni 1-2 anni; nel caso in cui fossero presenti fattori di rischio, la frequenza di tali controlli deve essere incrementata. Nei soggetti con età >65aa con 0-1 fattori di rischio è invece proposto uno screening annuale così come nei pazienti affetti da diabete mellito tipo 1 e 2, a prescindere dall’età.
La valutazione del profilo lipidico di routine comprende il dosaggio di colesterolo totale, trigliceridi e colesterolo HDL. I valori di colesterolo totale e trigliceridi riflettono la quantità di colesterolo e trigliceridi contenuti in tutte le lipoproteine circolanti, inclusi chilomicroni, VLDL, IDL, LDL e HDL. E’ preferibile effettuare il prelievo ematico a digiuno per una migliore accuratezza e affidabilità dei risultati.
I valori di colesterolo LDL vengono il più delle volte calcolati come la quantità di colesterolo non contenuta nelle HDL e nelle VLDL utilizzando l’equazione di Friedewald. Il colesterolo proveniente dalle VLDL viene stimato dividendo i trigliceridi÷5, poiché la concentrazione di colesterolo nelle VLDL è di solito un quinto del totale dei lipidi contenuti nella particella. Pertanto il valore del colesterolo LDL viene ottenuto dal seguente calcolo: colesterolo totale – HDL – (trigliceridi÷5); tuttavia, questo metodo è valido solo per i valori ottenuti durante lo stato di digiuno e diventa sempre più impreciso quando i livelli di trigliceridi sono maggiori di 200 mg/dl e non più valido quando superano i 400 mg/dl. Le LDL possono anche essere misurate direttamente; le linee guida suggeriscono una misurazione diretta, oltre che nei soggetti con livelli di trigliceridi superiori a 250 mg/dl, anche in quelli affetti da diabete o con malattia vascolare aterosclerotica nota. (Prenota un ecodoppler arterioso).
Il colesterolo non-HDL dovrebbe essere calcolato per aiutare la stratificazione del rischio in soggetti con valori di trigliceridi moderatamente elevati (da 200 a 500 mg/dl), affetti da diabete e/o con anamnesi patologica positiva per malattia cardiovascolare aterosclerotica. Inoltre, sarebbe opportuno effettuare tale calcolo anche in caso di sospetta insulino-resistenza per ottenere informazioni utili riguardo al quantitativo totale di lipoproteine ​​aterogeniche dell’individuo.
Il calcolo e la valutazione di Apo B e/o del rapporto Apo B/Apo A1 possono essere utili in soggetti ad alto rischio anche se con colesterolo LDL a target (trigliceridi ≥150, HDL-C <40, precedente evento cardiovascolare aterosclerotico, diabete mellito tipo 2 e/o sindrome da insulino-resistenza) per valutare il rischio residuo e guidare il processo decisionale.
Il dosaggio della PCR viene consigliato per una migliore definizione del rischio in soggetti con rischio intermedio o alto e con LDL < 130 mg/dl.
La lipoproteina “a” (Lp-a) è indicata come componente della stratificazione del rischio in presenza di elevate concentrazioni di PCR.
Non viene consigliato il dosaggio routinario di omocisteinemia, uricemia e altri marcatori infiammatori.
La determinazione del calcio coronarico si è dimostrata altamente predittiva e può essere impiegata per valutare se un paziente necessiti di un trattamento particolarmente aggressivo. Significato analogo viene attribuito alla misurazione dello spessore medio-intimale carotideo. (Prenota un ecodoppler carotideo).
Gli esami per la ricerca delle cause secondarie, comprendenti la determinazione dei livelli di glicemia a digiuno, della creatininemia, degli enzimi epatici, degli esami di funzionalità tiroidea, del quadro proteico elettroforetico e della proteinuria, devono essere effettuati nella maggior parte dei pazienti con dislipidemia neodiagnosticata e quando un componente del profilo lipidico è inspiegabilmente peggiorato.

TERAPIA

La principale indicazione per il trattamento della dislipidemia è la prevenzione della malattia aterosclerotica cardiovascolare.
Una strategia globale per il controllo dei livelli lipidici, delle anormalità metaboliche associate e dei fattori di rischio modificabili deve basarsi, per prima cosa, sull’educazione del paziente e sul cambiamento del suo stile di vita.
Sarebbe opportuno praticare almeno 30 minuti di attività fisica di intensità moderata (ex. camminare a ritmo sostenuto) da 4 a 6 volte alla settimana, con una spesa di almeno 200 kcal/giorno.
E’ raccomandata una dieta ipocalorica con un consumo di almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno, cereali integrali, pesce e carni magre; l’introito di grassi saturi e colesterolo deve essere limitato, mentre deve essere favorito l’utilizzo di macronutrienti in grado di ridurre i valori di colesterolo LDL come gli steroli e stanoli vegetali (2 grammi/die) e fibre solubili (10-25 grammi/die). (Prenota una visita dietistica).
E’ fortemente raccomandata la cessazione dell’abitudine tabagica.
A metà strada tra la correzione dello stile di vita e il trattamento farmacologico, si colloca la multiforme categoria degli integratori ad azione ipolipemizzante, tra i quali spiccano quelli contenenti Monacolina K; tale sostanza, prodotta dalla fermentazione del riso rosso ad opera del lievito Monascus purpureus, ha una struttura molecolare simile alla lovastatina, la molecola precursore della classe delle statine, che le permette di esercitare un’azione inibitrice sulla sintesi del colesterolo.
Studi clinici dimostrano che la supplementazione con nutraceutici a base di monacolina K è sicura, ben tollerata ed efficace nel migliorare il profilo lipidico. Quando, nonostante le modificazione dello stile di vita e l’eventuale utilizzo di integratori, gli obiettivi terapeutici non vengono raggiunti, è necessario iniziare il trattamento farmacologico più opportuno. Il colesterolo LDL rappresenta l’obiettivo principale delle terapie ipolipemizzanti per il riconosciuto ruolo nella genesi e nell’accrescimento della lesione aterogena. Le statine rappresentano il trattamento di prima scelta per la riduzione del colesterolo LDL; esse inibiscono l’idrossimetilglutaril-CoA reduttasi, un enzima chiave nella sintesi del colesterolo, con conseguente up-regulation compensatoria dei recettori epatici per le LDL ed incrementata clearance delle LDL da parte degli epatociti. L’inibizione della sintesi endogena del colesterolo provoca, inoltre, un aumento dell’assorbimento intestinale dello stesso. Le statine riducono il colesterolo LDL fino al 55% e provocano piccoli incrementi delle HDL (2-10%) e una modesta riduzione dei trigliceridi (6-30%).
Gli effetti avversi comprendono l’innalzamento degli enzimi epatici e, soprattutto, la comparsa di tossicità muscolare. La mialgia tipica è simmetrica e prevalentemente localizzata alle masse muscolari maggiori. In alcuni pazienti, il cambiamento del tipo di statina o la riduzione della dose porta alla risoluzione della sintomatologia. La tossicità muscolare sembra essere più frequente nel caso in cui le statine siano utilizzate in associazione a farmaci che inibiscono il citocromo P3A4 o ai fibrati, soprattutto il gemfibrozil. Se i pazienti sono affetti da ipotiroidismo clinico o subclinico, questa condizione deve essere compensata farmacologicamente per almeno 3 mesi e fino a normalizzazione degli esami di funzionalità tiroidea prima di iniziare la terapia con le statine, sia per limitare i rischi di miopatia che per partire da una valutazione obiettiva dell’ipercolesterolemia non correlata all’ipotiroidismo sottostante. I pazienti con epatopatia cronica attiva richiedono un monitoraggio delle transaminasi a cadenza mensile per i primi 3 mesi di trattamento, ma è necessario prendere in considerazione la sospensione del trattamento solo per innalzamenti delle transaminasi > 2 volte il limite superiore di norma. (Prenota un’ecografia epatica). Le statine sono controindicate in corso di gravidanza e allattamento. Le statine attualmente disponibili in Italia includono simvastatina, pravastatina, fluvastatina, lovastatina, atorvastatina, rosuvastatina.
E’ stata calcolata l’entità della riduzione percentuale del colesterolo LDL prodotta da ciascuna statina a tutti i dosaggi disponibili in commercio e tale conoscenza permette di scegliere il prodotto più adeguato per ottenere il raggiungimento del target terapeutico previsto. Se la risposta in termini di riduzione del colesterolo LDL è inferiore a quanto previsto, il primo intervento è quello di valutare la compliance del paziente alle modificazione dello stile di vita e al regime terapeutico e le cause secondarie di dislipidemia. Se, dopo questa valutazione, la risposta rimane inferiore a quella prevista, la statina può essere modificata o il dosaggio aumentato. Se la risposta continua ad essere insoddisfacente nonostante l’assunzione delle statine al dosaggio massimo tollerato, deve essere valutata l’aggiunta di un altro farmaco ipolipemizzante se i benefici legati alla riduzione del rischio cardiovascolare superano il rischio legato allo sviluppo di effetti collaterali, in particolare per la prevenzione secondaria e nei pazienti con dislipidemie genetiche. In caso di intolleranza nei confronti delle statine, deve essere valutata l’assunzione di farmaci ipolipemizzanti alternativi.
Gli inibitori dell’assorbimento del colesterolo, come l’ezetimibe, inibiscono l’assorbimento intestinale del colesterolo e dei fitosteroli, abbassando il colesterolo LDL del 15-20% e causando un piccolo incremento del colesterolo HDL e una lieve diminuzione dei trigliceridi. Il bersaglio molecolare dell’ezetimibe è il trasportatore di membrana NPC1L1.
L’ezetimibe legandosi a NPC1L1 presente sulla membrana degli enterociti inibisce l’assorbimento del colesterolo alimentare presente all’interno del lume intestinale; il diminuito apporto di colesterolo al fegato causa la up-regulation dei recettori per le LDL sulla superficie degli epatociti con il conseguente incremento della captazione delle LDL stesse, la cui concentrazione plasmatica si riduce. A livello epatico, inoltre, l’azione dell’ezetimibe inibisce il riassorbimento canalicolare del colesterolo biliare da parte degli epatociti e ne favorisce l’eliminazione con la bile. L’inibizione farmacologica dell’assorbimento del colesterolo ne stimola, come meccanismo compensatorio, la sintesi endogena.
I sequestranti degli acidi biliari bloccano il riassorbimento intestinale degli acidi biliari con conseguente up-regulation dei recettori epatici per le LDL al fine reperire il colesterolo circolante necessario per la sintesi di nuovi acidi biliari;  essi possono essere considerati come terapia alternativa per ridurre il colesterolo LDL (15-25%) e le Apo B e aumentare modestamente il colesterolo HDL, ma possono aumentare i trigliceridi. I sequestranti degli acidi biliari sono sicuri, ma il loro uso è limitato dagli effetti avversi gastro-intestinali rappresentati da meteorismo, nausea e dolori crampiformi.
Gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 rappresentano la nuova frontiera farmacologica per il trattamento dell’ipercolesterolemia. La Proproteina Convertasi Subilisina/Kexina tipo 9 (PCSK9) è un enzima che favorisce la degradazione del recettore per le LDL, il cui difetto è alla base della gran parte dei casi di ipercolesterolemia familiare. L’azione degli inibitori della PCSK9 si traduce in una maggiore espressione genica a livello epatico del recettore delle LDL, cui consegue un marcato effetto ipocolesterolemizzante (riduzione LDL 48-71%, Apo B 42-55%). Due inibitori della PCSK9 sono stati autorizzati dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e dalla FDA, Evolocumab (Repatha) e Alirocumab (Praluent), come trattamento per gli individui con ipercolesterolemia familiare eterozigote o nei soggetti a rischio elevato o molto elevato, che non riescono a raggiungere i livelli target di colesterolo LDL con la massima dose tollerata di statine, con o senza altre terapie ipolipemizzanti o nei soggetti intolleranti alle statine o nelle quali queste siano controindicate. Evolocumab è indicato anche per il trattamento di soggetti con ipercolesterolemia familiare omozigote. La somministrazione è iniettiva sottocutanea. Essi non hanno evidenziato problemi di sicurezza. Gli effetti collaterali riportati sono di scarso rilievo clinico. Ulteriori formulazioni di inibitori di PCSK9, incluso un vaccino annuale e una versione orale, sono attualmente in fase di sviluppo. Nei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare omozigote, come terapia aggiuntiva alla dieta e ad altri farmaci ipocolesterolemizzanti, è indicato l’utilizzo della Lomitapide (Lojuxta), che  riduce la sintesi epatica e intestinale delle VLDL e dei chilomicroni, agendo come inibitore selettivo della proteina microsomiale di trasporto dei N-trigliceridi (MTP). La FDA, ma non l’EMA, ha approvato con la medesima indicazione anche il Mipomersen, un’apolipoproteina antisenso B oligo-nucleotide, la quale agisce bloccando la produzione di apo-proteina B, nucleo strutturale delle LDL. Nei pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare omozigote refrattari alla terapia farmacologica, un intervento comunemente effettuato è la plasmaferesi extracorporea delle LDL (o LDL aferesi), che consiste nel depurare il sangue dalle LDL per mezzo di una speciale apparecchiatura.
I fibrati devono essere usati per il trattamento dell’ipertigliceridemia grave (trigliceridi >500 mg/dl); essi riducono i trigliceridi di circa il 20-35%. I fibrati possono potenziare la tossicità muscolare se utilizzati in associazione alle statine.
Gli acidi grassi omega-3 al dosaggio di 2-4 grammi/die possono essere efficaci nel ridurre i trigliceridi. Gli acidi grassi ω-3 acido eicosapentaenoico (EPA) e acido docosaesaenoico (DHA) sono i principi attivi dell’olio di pesce o delle capsule di ω-3. Gli effetti avversi comprendono le eruttazioni e la diarrea. Questi effetti possono essere ridotti somministrando le capsule di olio di pesce durante i pasti in dosi frazionate.
Secondo le raccomandazioni AACE/ACE la farmacoterapia è raccomandata per i bambini e gli adolescenti di età superiore ai 10 anni che non rispondono sufficientemente alle modifiche dello stile di vita, in particolare per coloro che soddisfano i seguenti criteri:

  • LDL-C ≥190 mg/dl;
  • LDL-C ≥160 mg/dl e presenza di 2 o più fattori di rischio cardiovascolare, anche dopo vigoroso intervento sullo stile di vita;
  • Storia familiare di malattia cardiovascolare aterosclerotica prematura
  • Sovrappeso, obesità o presenza di elementi caratteristici della sindrome da insulino-resistenza.

La nota 13 dell’Agenzia Italiana del Farmaco, modificata nel marzo 2013, rappresenta il riferimento principale per l’appropriatezza del trattamento delle dislipidemie in Italia. Essa identifica, in accordo con le linee guida europee dell’European Society of Cardiology (ESC) e dell’European Atherosclerosis Society (EAS) , gruppi di pazienti con diversi gradi di rischio CV, meritevoli di trattamento di 1° o 2° livello in funzione del raggiungimento dell’obiettivo terapeutico.

CONTROLLO

Il profilo lipidico deve essere monitorato periodicamente dopo l’inizio del trattamento. E’consigliata la ripetizione del dosaggio circa 6 settimane dopo l’inizio o dopo un cambiamento della terapia e 1 o 2 volte l’anno, dopo che i lipidi sierici si sono stabilizzati.
Una valutazione del profilo lipidico più frequente è raccomandata in caso di deterioramento del controllo glico-metabolico, di progressione della malattia aterotrombotica, di un considerevole aumento di peso, di cambiamenti avversi inattesi in qualsiasi parametro lipidico, di sviluppo di un nuovo fattore di rischio cardiovascolare. (Prenota una visita cardiologica).
Nonostante la bassa incidenza di tossicità epatica e muscolare associata all’uso di statine (0,5-2% di tutti i pazienti in terapia), è opportuno ottenere una determinazione basale dei livelli enzimatici muscolari ed epatici prima dell’inizio del trattamento. E’ consigliato un monitoraggio periodico degli enzimi epatici, soprattutto in corso di terapia con fibrati. Gli enzimi muscolari non devono essere controllati regolarmente a meno che i pazienti non manifestino mialgie o altri sintomi muscolari. Se si sospetta un danno muscolare statine-indotto, l’assunzione delle statine deve essere sospesa e deve essere effettuato un dosaggio del CPK; a sintomatologia regredita, si può effettuare un secondo tentativo con una dose più bassa o una statina diversa. Se i sintomi non regrediscono entro 1-2 settimane dalla sospensione della statina, va ricercata un’altra causa mediante opportuni approfondimenti (ex. polimialgia reumatica). Il valore assoluto del CPK, in assenza di sintomatologia mialgica, di per sé non dovrebbe costituire motivo valido per la sospensione di terapia con statina, specie in soggetti a rischio moderato-severo, se non per valori > 10 volte il limite superiore di norma.

Prenota una visita specialistica endocrinologica in merito a questo argomento.

Dott.ssa Silvia Carocci

e

Dott. Massimiliano Andrioli
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio

Centro EndocrinologiaOggi, Roma
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BIBLIOGRAFIA

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