
RESISTENZA AGLI ORMONI TIROIDEI
La sindrome da resistenza agli ormoni tiroidei è caratterizzata dalla mancata risposta periferica, parziale o totale, degli organi bersaglio all’azione degli ormoni tiroidei. Se ne riconoscono 3 forme:
- Resistenza generalizzata, responsabile di più del 90% di tutte le sindromi;
- Resistenza parziale selettiva periferica, responsabile di meno dell’1% di tutte le sindromi;
- Resistenza parziale ipofisaria, responsabile dell’8% di tutte le sindromi.
EPIDEMIOLOGIA
Dopo la recente identificazione di mutazioni a carica del gene codificante il recettore α in pazienti affetti da sindrome da resistenza agli ormoni tiroidei (RTH), è stata adottata una nuova nomenclatura per classificare le varianti di tale sindrome in base al recettore mutato:
- RTHα, la cui prevalenza non è nota
- RTHβ, sindrome rara la cui prevalenza è di circa 1:50.000 feti nati vivi , con un rapporto F:M=1:1. Nel 80% dei casi si presenta in forma familiare con ereditarietà autosomica dominante, mentre nel restante 20% si presenta in forma sporadica. E’ stato, inoltre, documentato un caso a trasmissione autosomica recessiva.
EZIOPATOGENESI
Il recettore degli ormoni tiroidei appartiene alla categoria dei recettori nucleari. Esistono due forme di recettori degli ormoni tiroidei, α e β, sintetizzate da 2 geni localizzati rispettivamente sul cromosoma 17 e 3. Entrambi i recettori sono, a loro volta, costituiti da 2 isoforme ciascuno, espresse in diversa misura nei vari tessuti. Essi sono localizzati nel nucleo cellulare e sono direttamente legati alla cromatina. Dopo aver raggiunto i tessuti bersaglio, gli ormoni tiroidei utilizzano trasportatori (ad es. MCT8, MCT10 e OATP1C1) per attraversare la membrana cellulare ed entrare nella cellula. Quindi vengono metabolizzati dalle desiodasi, che ne regolano la concentrazione sierica ed intracellulare: D1 e D2 mediano la conversione della T4 in T3, forma biologicamente attiva, mentre l’attività della D3 è finalizzata alla produzione di metaboliti inattivi.
La triiodotironina così prodotta si lega ai propri recettori nucleari con formazione di eterodimeri funzionalmente attivi in grado di interagire con specifiche sequenze di DNA definite TRE (elementi responsivi all’ormone tiroideo), situate nella regione regolatoria di specifici geni dei quali viene, in tal modo, regolata la trascrizione.
Il processo di dimerizzazione costituisce la base molecolare del fenomeno della dominanza negativa: nei soggetti eterozigoti per una mutazione recettoriale, la presenza del recettore mutato riduce notevolmente la possibilità del recettore normale di formare dimeri funzionalmente attivi.
Quando la capacità di un recettore di mediare la trasduzione del segnale di uno specifico ormone risulta compromessa con conseguente iporesponsività della cellula bersaglio si manifestano le sindromi da resistenza. Le sindromi da resistenza sono dovute alla presenza di mutazioni nella sequenza genica codificante i recettori ormonali con conseguente arresto o riduzione nella sintesi degli stessi o trascrizione di forme prive di attività recettoriale, incapaci di legare l’ormone e trasdurne il segnale.
Il meccanismo eziopatogenetico delle RTHβ è riconducibile alla presenza di mutazioni (delezioni, mutazioni puntiformi, inserzioni, duplicazioni) nella sequenza di DNA codificante la regione del recettore β1 deputata al legame con la T3, che riducono o aboliscono l’affinità recettoriale per la T3 stessa. In letteratura sono state descritte oltre 160 mutazioni del gene distribuite nell’ambito di circa 350 famiglie. Nelle forme con ereditarietà autosomica dominante, l’espressione del recettore mutato esercita un ruolo dominante negativo sull’attività trascrizionale promossa dai recettori normali.
E’ descritta, inoltre, in letteratura una sola famiglia con trasmissione autosomica recessiva in cui è stata documentata la mancata sintesi del recettore per gli ormoni tiroidei per delezione completa del gene corrispondente, in cui è l’espressione del genotipo omozigote a determinare il manifestarsi della sintomatologia.
Invece, il meccanismo eziopatogenetico delle RTHα è riconducibile alla presenza di mutazioni a carico del gene codificante il recettore α. Anche i recettori α mutati inibiscono la funzione dei recettori normali esercitando un ruolo dominante negativo.
Sono state, inoltre, identificate mutazioni a carico del gene codificante il trasportatore di membrana degli ormoni tiroidei MCT8, localizzato sul cromosoma X, necessario per il trasporto della T3 all’interno delle cellule neuronali che non dispongono di attività desiodasica D2, e mutazioni di selenioproteine coinvolte nella regolazione dell’attività enzimatica della desiodasi D2 che influenzano la concentrazione intracellulare degli ormoni tiroidei.
Infine, sono stati identificati diversi pazienti con RTH che non presentavano mutazioni né di TRβ né di TRα; è probabile che mutazioni a carico dei cofattori trascrizionali coinvolti nella trasmissione del segnale dei recettori degli ormoni tiroidei siano responsabili della manifestazione del fenotipo tipico in assenza del coinvolgimento recettoriale.
CLINICA
La sindrome da resistenza agli ormoni tiroidei RTHβ può manifestarsi con le seguenti forme cliniche:
- Forma eu-ipotiroidea: caratteristica della resistenza generalizzata o parziale selettiva periferica, nell’ambito della quale la resistenza si manifesta a carico delle cellule bersaglio degli ormoni tiroidei localizzate in tutto l’organismo o solo in determinati distretti periferici. La diversa distribuzione delle isoforme dei recettori degli ormoni tiroidei e il ruolo che ognuna di esse svolge nel regolare l’attività tissutale giustifica il diverso grado di resistenza riscontrato nei diversi tessuti e l’ampiezza dello spettro sintomatologico.
Tale forma è caratterizzata da un quadro clinico di ipotiroidismo, più o meno sfumato, associato alla presenza di gozzo.
Spesso tale sindrome viene diagnosticata alla nascita mediante screening neonatale per disfunzioni tiroidee. I pazienti possono presentare ritardo di crescita con bassa statura, deficit dell’attenzione ed iperattività. Nella maggior parte dei casi, comunque, l’iperplasia tiroidea e l’incremento della sintesi e della secrezione di ormoni tiroidei TSH-mediati contribuiscono all’attenuazione della sintomatologia, compensando parzialmente il deficit di sensibilità periferica. La distribuzione tissutale delle isoforme recettoriali, inoltre, permette la coesistenza nello stesso paziente di segni tipici di ipotiroidismo in alcuni tessuti e di ipertiroidismo in altri. I pazienti, infatti, possono presentare anche alcuni segni e sintomi tipici dell’ipertiroidismo, come la tachicardia, in conseguenza del fatto che il recettore α1, espresso prevalentemente a livello cardiaco non risulta coinvolto dalle suddette alterazioni e viene eccessivamente sollecitato dagli elevati livelli di ormoni tiroidei circolanti. E’, inoltre, importante sottolineare che la stessa mutazione può manifestarsi con differenti fenotipi in pazienti diversi, anche all’interno della stessa famiglia: questo suggerisce che modificatori genetici ed epigenetici possano influenzare l’espressione/penetranza del fenotipo RTHβ.
- Forma ipertiroidea: caratteristica della resistenza parziale ipofisaria, condizione caratterizzata da ridotta risposta tissutale agli ormoni tiroidei che interessa in modo prevalente anche se non esclusivo l’ipofisi. I pazienti affetti da questa forma manifestano, sin dall’età pediatrica, i sintomi ed i segni tipici dell’ipertiroidismo, causato dagli elevati livelli di ormoni tiroidei circolanti, all’azione dei quali solo l’ipofisi risulta essere resistente. I pazienti presentano ritardo mentale con QI talvolta ridotto e deficit dell’apprendimento. In età adulta manifestano astenia, cardiopalmo, irritabilità, insonnia ed intolleranza al caldo, alterazioni del ciclo mestruale e aumento della frequenza dell’alvo; sono presenti tachicardia, cute calda e umida, tremori. (Prenota una visita cardiologica)
Sulla base delle relazioni di quasi 30 pazienti con RTHα, le caratteristiche cliniche che sono più comunemente riscontrate tra i pazienti affetti includono bradicardia, stipsi, ritardo della dentizione e della crescita lineare con anomalie scheletriche e ritardo dello sviluppo psicomotorio. Inoltre, sono state segnalate in alcuni pazienti caratteristiche dismorfiche e displasie scheletriche. (Prenota una visita ortopedica).
DIAGNOSI
Normalmente la produzione di TSH è inversamente proporzionale alla concentrazione degli ormoni tiroidei presenti nelle cellule tireotrope ipofisarie, dove la 5’-desiodasi II (D2) converte la T4 in T3, che legandosi al suo recettore esercita un’azione di feedback inibitorio sulla secrezione del TSH. Nelle cellule tireotrope dei soggetti affetti da sindrome da resistenza tale meccanismo di feedback inibitorio risulta compromesso, con conseguente incremento della sintesi e secrezione del TSH, che a sua volta stimola il trofismo e l’attività delle cellule tiroidee. La diagnosi di resistenza generalizzata o parziale periferica agli ormoni tiroidei RTHβ deve essere sospettata sul piano clinico in pazienti sia ipotiroidei che eutiroidei con gozzo che presentino valori inappropriatamente elevati sia del TSH che dell’FT4 e dell’FT3.
Un’anamnesi familiare positiva depone a favore di tale diagnosi. La valutazione dei marcatori metabolici dell’azione degli ormoni tiroidei può essere utile nel determinare il grado di resistenza periferica.
L’altra principale causa di inappropriata sintesi di TSH è il TSHoma; soprattutto se i valori inappropriatamente elevati del TSH e degli ormoni tiroidei sono associati a sintomi e segni tipici di ipertiroidismo, è necessario effettuare una diagnosi differenziale tra la sindrome da resistenza ipofisaria e l’adenoma ipofisario TSH secernente (TSH-oma) mediante i seguenti approfondimenti diagnostici:
- Test di soppressione con T3, in cui, in caso di RTH, si verifica una parziale soppressione del TSH;
- Test di stimolo con TRH, che mostra un esagerato aumento del TSH nei pazienti affetti da RHT;
- Dosaggio della subunità α del recettore degli ormoni tiroidei, che non risulta aumentata in caso di RHT, con un rapporto subunità α/TSH <1
Inoltre, nei casi problematici di ipertiroidismo di origine centrale, è stata proposta da alcuni autori la somministrazione di analoghi della somatostatina a lunga durata d’azione per almeno 2 mesi per effettuare una diagnosi differenziale. Mentre i pazienti con TSHoma risultano responsivi a tale trattamento, non si verificano modificazioni significative degli ormoni tiroidei nei pazienti affetti da RHT sottoposti alla medesima terapia.
Infine, se le evidenze cliniche e laboratoristiche supportano la diagnosi di RTHβ, dovrebbe essere considerato il sequenziamento degli esoni del gene per il recettore β al fine di individuare la mutazione.
Sebbene rara, la diagnosi di RTHα dovrebbe essere presa in considerazione nei bambini dismorfici, con ritardo della crescita e dello sviluppo psicomotorio. Inoltre, dovrebbe essere considerata negli adulti con stipsi inspiegabile, megacolon (prenota una visita gastroenterologica) e bradicardia (prenota una visita cardiologica).
I pazienti con RTHα in genere hanno livelli sierici normali/alti di T3 e normali/bassi di T4, risultanti in un rapporto T4/T3 marcatamente ridotto. I livelli sierici di TSH sono solitamente normali mentre i livelli circolanti di SHBG (un marcatore epatico dell’azione dell’ormone tiroideo) sono elevati, in virtù della prevalenza di TRβ nella ghiandola pituitaria e nel fegato.
TERAPIA E CONTROLLO
Nei pazienti eutiroidei ed eumetabolici non è necessaria alcuna terapia. Nei pazienti affeti da RTHβ con ipotiroidismo, invece, è necessario intraprendere una terapia con levotiroxina a dosaggio progressivamente crescente al fine di ottenere un quadro di eutiroidismo periferico. La dose deve essere individualizzata sulla base della risposta clinica (frequenza cardiaca, sviluppo psico-somatico, età scheletrica) e sulla normalizzazione dei dati di laboratorio che aumentano per azione degli ormoni tiroidei (SHBG, ferritinemia) o che diminuiscono per azione degli stessi (colesterolemia, trigliceridemia, CPK). La dose iniziale è di 100 mcg per os al di, da incrementare di 50 µg ogni 2 settimane fino al raggiungimento della dose di mantenimento di circa 500-1000 µg die
Il grado di resistenza tissutale determina l’adeguatezza della risposta di un determinato tessuto alla terapia con levotiroxina. Come riferito in precedenza, la diversa distribuzione tissutale delle isoforme recettoriali, può provocare, inoltre, la comparsa di sintomatologia da ipertiroidismo nei tessuti a minor resistenza, come il tessuto cardiaco; quindi, in caso di dosaggi sopra-fisiologici con riscontro di tachicardia, può essere utile l’aggiunta di un β-bloccante cardioselettivo come l’atenololo 50-100 mg/die o il metoprololo 100-200 mg/die, evitando l’assunzione di propanololo per la sua azione inibitoria sulla conversione della T4 in T3 (prenota una visita cardiologica).
Recentemente, sono stati sviluppati analoghi TRβ-specifici, come il TRIAC; tuttavia, non ci sono stati finora studi che abbiano confrontato l’efficacia del TRIAC rispetto alla levotiroxina per il trattamento della RTHβ non compensata.
Il gozzo è di solito refrattario alla terapia e ricorre anche dopo intervento chirurgico o trattamento con radioiodio; alcuni autori hanno proposto, a tal proposito, la somministrazione quotidiana di L-T3 a dosaggi soprafisiologici soppressivi la secrezione del TSH al fine di ridurre il volume ghiandolare in caso di gozzi molto voluminosi in soggetti giovani.
I farmaci antitiroidei sono controindicati poiché inducono ulteriore aumento del TSH con peggioramento del gozzo associato ad iperplasia delle cellule ipofisarie TSH-secernenti.
Negli adulti con RTHα, individuare il dosaggio di levotiroxina corretto è difficile, poiché la dose necessaria a normalizzare i parametri cardiaci può provocare tossicità indesiderate nei tessuti che esprimono prevalentemente TRβ come il fegato. Lo sviluppo di tiromimetici TRα1-selettivi potrà rivelarsi utile per superare la resistenza nei tessuti che esprimono prevalentemente TRα.
Il trattamento con levotiroxina porta alla soppressione dei livelli di TSH nei pazienti con RTHα: questa evidenza supporta l’ipotesi che il circuito di feedback centrale T3-mediato in questi pazienti non sia compromesso come nei pazienti con RTHβ.
Prenota una visita specialsitica endocrinologica in merito a questo argomento.
Dott.ssa Silvia Carocci
e
Dott. Massimiliano Andrioli
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio
Centro EndocrinologiaOggi, Roma
viale Somalia 33A, Roma
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cell 3337831426
Studio EndocrinologiaOggi, Lecce
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