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IMMUNOTERAPIA ONCOLOGICA E IPOFISI

IMMUNOTERAPIA ONCOLOGICA E IPOFISI

L’immunoterapia oncologica ha l’obiettivo di promuovere una risposta delle cellule T contro i tumori ma può causare degli effetti collaterali a livello ipofisario.
In tutti i soggetti esistono dei fisiologici controlli metabolici che inibiscono la così detta immunità cellulo-mediata come la via CTLA-4 (cytotoxic T-lymphocyte-associated antigen-4) e la via PD-1/PD-1 ligando (programmed cell death protein-1). L’immunoterapia, in sostanza, inibendo questi meccanismi inibitori, non fa altro che stimolare la risposta immunitaria contro il tumore promuovendone, in modo efficace, la sua distruzione. Infatti, attualmente, sono disponibili anticorpi monoclonali anti-CTLA-4, anti-PD-1 e anti-PD-1 ligando come terapia oncologica di pazienti affetti da melanoma, cancro polmonare e renale (prenota una visita dermatologica o urologica). Tra gli anticorpi monoclonali attualmente approvati in clinica, ricordiamo: ipilimumab, pembrolizumab e nivolumab.
L’impiego di questi farmaci, quindi, stimola la risposta immunitaria che se, da un lato è un effetto auspicato in senso anti-tumorale, dall’altro può essere un effetto collaterale favorendo l’insorgenza di patologie autoimmuni.
Nell’ambito del sistema endocrino, le patologie autoimmune indotte da questi farmaci, possono coinvolgere l’ipofisi (ipofisite), la tiroide (tiroidite) ed il surrene (insufficienza surrenalica), più raramente anche il pancreas (diabete tipo 1).
Gli effetti collaterali endocrini, solitamente, insorgono all’incirca 9 settimane dopo l’inizio della terapia con anticorpi monoclonali (ipilimumab, pembrolizumab, nivolumab), ma non sono da escludere manifestazioni più precoci o più tardive.
Tuttavia, non è ancora del tutto chiaro il perché queste manifestazioni avvengano soprattutto a carico di ipofisi, tiroide e surreni. Probabilmente l’importante vascolarizzazione di questi organi può essere una possibile spiegazione. In alcuni casi come l’ipofisi, sembra addirittura che l’organo stesso possa esprimere il CTLA-4, diventando così un bersaglio diretto di questo tipo di farmaci.

DISFUNZIONI IPOFISARIE

L’ipofisite è una patologia rara nella popolazione generale, mentre è molto più frequente nei pazienti oncologici trattati con l’immunoterapia. La percentuale di incidenza di ipofisite può variare a seconda del farmaco utilizzato, dell’associazione con altri immunomodulatori, della dose impiegata e del tipo di tumore che viene trattato ma anche dall’esperienza nel trattamento (e di conseguenza della capacità del medico di andare a valutare e diagnosticare eventuali complicanze ipofisarie).
L’incidenza riportata in letteratura di ipofisite è variabile: 0-17% per ipilimumab, 0.4-5% per tremelimumab, meno del 1% per nivolumab e pembrolizumab.
Contrariamente all’ipofisite linfocitaria classica, più frequente nelle femmine, quella indotta da ipilimumab sembra essere più frequente nei maschi, nei pazienti di età più avanzata, nei pazienti trattati con dosi più elevate di immunoterapico o con associazione di più molecole.
Clinicamente la sintomatologia riferita dal paziente può essere o secondaria all’aumento volumetrico dell’ipofisi (quindi di natura meccanica-compressiva e con disturbi visivi) (prenota un campo visivo) o alle alterazioni funzionali dell’ipofisi anteriore (ipopituitarismo). Il danneggiamento dell’ipofisi posteriore (e relative manifestazioni come il diabete insipido) sono invece più rare.
Il danneggiamento dell’ipofisi anteriore coinvolta dall’ipofisite indotta dall’immunoterapia può determinare: ipotiroidismo centrale (87%), ipogonadismo ipogonadotropo (85%), iposurrenalismo secondario (73%), deficit di GH (25%), ipoprolattinemia (più spesso) o meno frequentemente iperprolattinemia. Negli stadi più avanzati della malattia oncologica possono essere presenti quadri di euthyroid sick syndrome, legati alla grave compromissione delle condizioni generali, indistinguibili pertanto dai sintomi indotti dall’ipopituitarismo.
Pertanto, come per l’ipofisite classica, i sintomi iniziali riferiti dal paziente sono: cefalea, astenia, nausea, anoressia e diarrea. Possono essere presenti anche: confusione, labilità emotiva, insonnia, disfunzione erettile, calo della libido ed altra sintomatologia aspecifica. Sono più rari il coinvolgimento delle vie ottiche e conseguenti disturbi visivi (prenota una visita oculistica).
Il medico oncologo, quindi, deve valutare attentamente la comparsa di questi sintomi aspecifici, soprattutto se associati a ipotensione e ipoglicemia, e suggerire una tempestiva valutazione endocrinologica (prenota una visita endocrinologica) che escluda quantomeno un’insufficienza surrenalica che può essere potenzialmente fatale e che va trattata tempestivamente.
Quindi, oltre al periodico dosaggio della funzione antero-ipofisaria, in caso di sospetto clinico è consigliabile eseguire anche una RMN ipofisaria.
Dal punto di vista radiologico, l’ipofisi con ipofisite appare di dimensioni aumentate, anche se non eccessivamente, con enhancement variabile, con ispessimento del peduncolo che tuttavia può anche essere assente. Le alterazioni neuroradiologiche precedono spesso, ma non sempre, quelle cliniche e biochimiche.

TERAPIA IPOFISARIA

La terapia dell’ipofisite prevede la somministrazione di cortisonici. Si ricorda, tuttavia, che questa terapia va iniziata solo dopo aver effettuato il prelievo per il dosaggio di cortisolemia e ACTH per escludere influenze dello steroide nel dosaggio ormonale.
La terapia con steroidi in caso di ipofisite varia in base al grado.
Grado 1: per le forme lievi di ipofisite l’immunoterapia può essere continuata ma con una stretta osservazione. Se i sintomi non si risolvono in una settimana, è indicato un trattamento con prednisolone 0.5 mg/kg/die (o dosi equivalenti di altri steroidi).
Grado 2: se possibile, sospendere l’immunoterapia fino alla regressione al grado 1 o a risoluzione del quadro.
Gradi 3 e 4: è consigliato iniziare alte dosi di steroidi (prednisolone 1 mg/kg/die o dosi equivalenti), con successiva titolazione fino a dosi sostitutive anche se non vi è un consenso univoco sull’opportunità di iniziare con dosi così elevate. Non sono noti, al momento, eventuali effetti negativi della terapia con cortisone sull’efficacia anti-tumorale dei farmaci immunomodulatori.
Per il trattamento ormonale sostitutivo degli assi ipofisari deficitari, è consigliato seguire le indicazioni riportate dalle attuali linee guida per il trattamento dell’ipopituitarismo.
L’immunoterapia può essere ripresa nei casi non gravi (grado 1 e 2), quando il quadro inizia a migliorare con la terapia steroidea, ma va sempre concordato con il paziente valutandone rischi e benefici. Nel 50% dei casi, le disfunzioni tiroidee e gonadiche possono essere reversibili (circa 3 mesi), mentre l’iposurrenalismo è solitamente quasi sempre irreversibile. Il quadro neuroradiologico della RMN, invece, si normalizza dopo 3-6 mesi dall’inizio della terapia steroidea.

Prenota una visita specialistica endocrinologica sull’argomento.

 

Dott. Massimiliano Andrioli
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio

Centro EndocrinologiaOggi, Roma
viale Somalia 33A, Roma
tel/fax 0686391386
cell 3337831426
Studio EndocrinologiaOggi, Lecce
via Ruffano 4, Casarano (Lecce)
tel/fax 0686391386
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Bibliografia
Joshi MN, Whitelaw BC, Palomar MT, et al. Immune checkpoint inhibitor-related hypophysitis and endocrine dysfunction: clinical review. Clin Endocrinol 2016, 85: 331-9.

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