
PERCHE’ ESEGUIRE L’ECOGRAFIA TIROIDEA CON LO SPECIALISTA ENDOCRINOLOGO?
Ecografia della tiroide: un esame che fanno in molti ma che pochi sanno fare bene. Perché eseguirla con uno specialista ecografista endocrinologo?
L’ecografia è una metodica ormai molto diffusa nella pratica clinica della diagnostica tiroidea. Trattasi di un esame non invasivo, non doloroso, che prevede l’impiego di ultrasuoni (non radiazioni) e pertanto eseguibile senza rischi e controindicazioni (anche in gravidanza).
L’ecografia della tiroide, è eseguita mediante uno strumento (ecografo) dotato di una sonda maneggiata da un medico (ecografista) che fornisce informazioni sulla composizione del tessuto tiroideo, informazioni trasmesse come immagini su un monitor. L’ecografia della tiroide fornisce informazioni sulla morfologia e sulla struttura tiroidea (indagine morfologica) ma non sulla sua funzione. In pratica l’ecografia non può indicare se la tiroide funziona poco (ipotiroidismo) o troppo (ipertiroidismo), ma fornisce informazioni importantissime indicando se la tiroide è piccola o grossa, se contiene noduli o meno, se è infiammata o omogenea e soprattutto è in grado di stratificare il rischio di malignità dei noduli tiroidei indicando quelli a maggior rischio di malignità su cui seguire l’agoaspirato. Per questi motivi, quindi, l’ecografia è un esame fondamentale nell’iter diagnostico della patologia tiroidea.
A causa della sua semplicità di esecuzione, l’ecografia della tiroide è un esame che viene eseguito da molti medici e per un paziente non è difficile eseguirne una. Viene eseguita da radiologi, medici di base, ecografisti, ginecologici e da specialisti di tutti i tipi. Tuttavia, a mio avviso, l’ecografia tiroidea è un esame che molti fanno, ma che pochi sanno fare bene. Eseguire tale esame con un ecografista dedicato alla patologia tiroidea, meglio ancora se endocrinologo, consente al paziente di ricevere un esame spesso di maggior qualità e diagnosticità.
Ritengo, infatti, che lo specialista endocrinologo rappresenti la figura più indicata ad eseguire tale esame ecografico in quanto è colui che meglio ne conosce fisiologia e fisiopatologia. Inoltre, l’endocrinologo ecografista, solitamente esegue solo ecografie tiroidee e del collo, e ciò garantisce un’elevata casistica ed una notevole esperienza nell’ambito della diagnostica del collo che il medico non endocrinologo che seguendo anche tanti altri tipi di esami, per ovvi motivi, non può avere.
Un ultimo ma non trascurabile vantaggio dell’eseguire l’ecografia tiroidea direttamente con lo specialista endocrinologo risiede nel fatto che lo specialista, durante l’esecuzione dell’esame stesso, può direttamente indicare al paziente eventuali accertamenti aggiuntivi necessari. L’ecografista non specialista, invece, di solito non può che rimandare all’endocrinologo per ulteriori accertamenti.
Fatta questa premessa, come spiegare praticamente perché è preferibile eseguire un’ecografia tiroidea con un ecografista dedicato?
Ho pensato di scrivere questo articolo in cui descrivo alcuni casi clinici reali, veramente incontrati nella mia attività clinica personale, che ben spiegano perché, a mio avviso, sia preferibile eseguire l’ecografia tiroidea con uno specialista endocrinologo. Se avrete la voglia e la pazienza di leggerli probabilmente riuscirò a spiegare le mie ragioni, che poi sono nell’interesse del paziente.
CASO CLINICO 1
Nodulo tiroideo noto da anni, mai descritto come sospetto e sempre invariato nei vari controlli ecografici: ma in realtà era un tumore della tiroide.
Questo caso rappresenta una situazione che ho incontrato molte volte nella mia pratica clinica. Ne cito alcuni casi. La signora Giovanna non è una mia paziente. E’ seguita da 7 anni da un altro endocrinologo per un nodulo in tiroidite cronica, per cui ha eseguito periodicamente controlli ecografici con diversi medici ecografisti. Giunge alla mia attenzione, per la prima volta, il 5/2/2015 per eseguire l’abituale controllo ecografico tiroideo, questa volta per la prima volta con il sottoscritto. I referti degli esami pregressi riportavano che il nodulo negli anni era rimasto sempre invariato, sia dal punto di vista dimensionale che delle caratteristiche ecografiche.
Durante l’esame ecografico confermo il quadro ecografico di tiroidite e la stazionarietà del nodulo (che misurava sempre 16 mm). Tuttavia, segnalo alla paziente che il nodulo, seppur stabile a mio avviso presentava, da sempre, delle caratteristiche ecografiche di rischio di malignità elevate. Dal confronto con le immagini degli esami ecografici precedenti, infatti, constato che, oltre alle dimensioni, anche le caratteristiche ecografiche di rischio del nodulo, già presenti da anni, erano totalmente invariate. Il nodulo appariva ipoecogeno, disomogeneo, con micro- e macrocalcificazioni e presentava margini sfumati e irregolari (figura 1a, figura 1b). Insomma il nodulo, a mio parere, presentava caratteristiche tipiche del carcinoma papillare della tiroide e necessitava quantomeno di un agoaspirato che in passato non era mai stato consigliato.
Posso assicurare che, in situazioni come queste, la difficoltà maggiore per il sottoscritto è convincere un paziente ad eseguire un agoaspirato per un nodulo che il paziente sa di avere da molti anni, che per anni tutti hanno considerato benigno (o quantomeno non meritevole di ulteriori accertamenti) e soprattutto di un nodulo che è rimasto stabile e non è cresciuto nemmeno di 1 mm in tanti anni. In ogni modo, riesco a superare le perplessità della paziente e a convincerla dell’opportunità di eseguire l’agoaspirato. La diagnosi citologica ovviamente confermava la presenza di un carcinoma tiroideo (2/2014): “aspirato riccamente cellulare con presenza di tireociti atipici con nuclei ingranditi, chiarificati, attraversati da solchi e con pseudoinclusi, sia isolati che in aggregati papillari. Quadro citologico compatibile con carcinoma papillare ben differenziato della tiroide. (TIR 5)”. Ovviamente la paziente veniva poi inviata dal chirurgo per l’asportazione della tiroide. L’istologico post-intervento confermava la diagnosi di carcinoma papillare tiroideo (pT1bN0). In questo caso, per fortuna della paziente, all’esame istologico non erano presenti metastasti linfonodali (N0). Ma la cosa che più frequentemente può accadere in casi come questo è che, noduli tiroidei noti ma misconosciuti come neoplastici per anni, prima poi, possano dare qualche metastasi ai linfonodi, modificando o comunque complicando l’approccio terapeutico come avvenuto, ad esempio, in quest’altro paziente con una storia simile ma con una diagnosi istologica post-operatoria peggiore (pT1bmN1). La figura 1c mostra un nodulo tiroide ipoecogeno e con calcificazioni, stabile ma francamente sospetto mentre la figura 1d mostra la metastasi lindonodale comparsa dopo alcuni anni di controlli ecografici.
In sostanza l’ecografista dedicato alla diagnostica tiroidea, ha solitamente un maggior esperienza e quindi una maggior capacità diagnostica nel nodulo tiroideo. Pertanto, se la paziente avesse eseguito i controlli ecografici tiroidei sin dall’inizio con un ecografista dedicato, meglio se endocrinologo, probabilmente, avrebbe anticipato la diagnosi di tumore tiroideo di qualche anno.
CASO CLINICO 2
Nodulo indeterminato (TIR3A): quando le caratteristiche ecografiche sono più diagnostiche della citologia.
Una giovane paziente, al terzo mese di gravidanza, giunge alla mia attenzione per un secondo parere su nodulo noto da diverso tempo (di 11x10x12 mm), ma che solo di recente recente (3/2017) era stato sottoposto ad agoaspirato, con questo esito “tireociti in strutture follicolari in metaplasia ossifila (TIR3A)”. La paziente aveva già consultato il proprio medico di riferimento sul da farsi. Ricordo che le linee guida, in caso di citologia TIR3A indicano la necessità di eseguire un follow-up stretto (controlli ravvicinati) mediante ecografie e/o ripetizione dell’agoaspirato, ma non impongono necessariamente l’intervento chirurgico.
Tuttavia, durante l’esame ecografico che eseguo sempre in casi come questo, il sottoscritto evidenziava che il nodulo, nel terzo medio-inferiore di sinistra presentava delle caratteristiche di rischio ecografico francamente elevate. Oltre ad essere solido, marcatamente ipoecogeno, con microcalcificazioni e con margini sfumati e irregolari, tale formazione sembrava, posteriormente, infiltrare il nastro tracheale e, anteriormente, anche la capsula tiroidea (figura 2a).
In sostanza, a mio avviso, il nodulo, pur essendo citologicamente a basso rischio (TIR3A), presentava caratteristiche ecografiche eclatantemente sospette, per cui, a mio parere, si trattava sicuramente di un tumore tiroideo. Riferite le mie considerazioni, si concordava con la paziente l’opportunitàdi eseguire, al termine della gravidanza, l’intervento chirurgico. L’intervento, eseguito poi il nel 7/2018, confermerà la presenza di un carcinoma papillare infiltrante la capsula tiroidea, multifocale, con metastasi linfonodali (pT1amN1).
Questa situazione clinica, è meno infrequente di quanto si possa immaginare. In quest’altra immagine (figura 2b), l’aspetto ecografico di un altro nodulo TIR3A di una paziente da me visitata in cui l’aspetto ecografico ed elastosonografico (nodulo ipoecogeno con margini irregolari acuminati ed elastosonograficamente duro) era talmente eloquente e sospetto per neoplasia che, a mio avviso non lasciava dubbi sulla diagnosi di neoplasia nonostante la citologia indeterminata a basso rischio (TIR3A).
In quest’altra immagine (figura 2c), invece, un caso simile, in cui la chiara infiltrazione e interruzione della capsula tiroidea, ovviamente mai segnalata prima ed evidenziata per la prima volta dal sottoscritto dopo tanti anni di ecografie, rappresenta una caratteristica tipica del tumore, contrastava palesemente con la diagnosi citologica TIR2 che da anni suggeriva alla paziente la natura benigna della lesione. Potete comprendere quanto sia difficile talvolta per il medico, convincere una paziente che si vede per la prima volta, che il nodulo tiroideo cha ha da molti anni, peraltro risultato benigno ad un precedente agoaspirato, era sicuramente un tumore. L’esame istologico dopo l’intervento ha poi confermato la mia diagnosi di carcinoma tiroideo.
Concludo con un ultimo esempio di una paziente, che giungeva dal sottoscritto per un secondo parere (in realtà si trattava di un decimo parere) per un nodulo indeterminato con questa descrizione citologica (8/2018): “tireociti in gruppi varia dimensione, talora con organizzazione microfollicolare (TIR3B)”. Come accennato la paziente, restia all’intervento, aveva già eseguito diverse ecografie e consultato numerosi specialisti, endocrinologi, chirurghi, primari e universitari in tutta Italia, Pisa inclusa, con esiti discordanti. Giungeva quindi dal sottoscritto per informazioni in merito ad Afirma, metodica di genetica molecolare in grado di determinarne la vera natura di un nodulo indeterminato prima dell’intervento chirurgico e quindi, in molti casi, di evitarlo. Tale nodulo veniva descritto come un nodulo para-istmico sinistro, ipoecogeno, con margini sfumati, con caratteristiche di rischio intermedie e quindi non particolarmente sospetto (9.4×6.4×11.7 mm). Tuttavia, durante l’esame ecografico eseguito dal sottoscritto, risultava ben evidente nel VI livello di sinistra, un linfonodo parzialmente cistico chiaramente indicativo di metastasi linfonodale di carcinoma tiroideo (figura 2d). Quindi quel nodulo TIR3B non solo non era “indeterminato” ma non poteva che essere un tumore della tiroide. In conclusione, dopo il lungo girovagare per tutta l’Italia per capire cosa fare di questo nodulo TIR3, sarebbe stato sufficiente eseguire un’ecografia con un ecografista dedicato alla patologia del collo per capire che quel nodulo dubbio, dato che presentava una metastasi linfonodale, non poteva che essere un carcinoma tiroideo e che quindi andava operato.
In sostanza, l’esame citologico rimane imprescindibile nella diagnostica del nodulo tiroideo, ma l’ecografia eseguita da mani esperte, può talora fornire informazioni dirimenti sulle decisioni terapeutiche da affrontare.
Da qui, a mio avviso, l’importanza che l’esame ecografico venga eseguito da uno specialista dedicato alla patologia tiroidea.
CASO CLINICO 3
Residuo timico scambiato per formazione extratiroidea sospetta.
Questo è il caso di una ragazzina, appena maggiorenne, alla quale nel 6/2017 era stata appena diagnosticata una tiroidite cronica di Hashimoto. Durante l’esame ecografico tiroideo eseguito a completamento diagnostico della diagnosi, oltre al quadro di tiroidite cronica, veniva evidenziata in sede paratracheale sinistra, un’immagine parenchimatosa (25×11 mm), definita se non sospetta, quantomeno di non univoca interpretazione. Ovviamente, è intuibile la preoccupazione della ragazzina e soprattutto dei genitori, in merito alla possibile natura di questa formazione. Su questa base lo specialista endocrinologo (non ecografista) da cui era in cura aveva suggerito l’esecuzione di una scintigrafia con tecnezio (9/2016) che aveva evidenziato “una disomogenea distribuzione del tracciante con area di ipofissazione in corrispondenza della formazione ecograficamente descritta nel III inferiore”. Veniva quindi suggerito di proseguire l’iter diagnostico con un agoaspirato della formazione sospetta, ovviamente con grande preoccupazione ed ansia dei genitori. Sfortunatamente l’esito dell’agoaspirato sarà “non diagnostico, TIR1”.
A questo punto della storia la paziente giunge dal sottoscritto per ripetere l’agoaspirato. Tuttavia, nella rivalutazione ecografica che eseguo abitualmente prima di eseguirlo, mi accorgo che la formazione da analizzare, e che aveva tanto preoccupato medici, ecografisti e genitori, altro non era che un residuo di tessuto timico (figura 3) che, a quella età, può non essersi ancora riassorbito del tutto e quindi essere facilmente visualizzabile nella porzione inferiore delle logge tiroidee. Si trattava, quindi, di un banale tessuto assolutamente fisiologico, non sospetto, come avrebbe poi confermato anche una successiva risonanza. Ovviamente non ho ritenuto opportuno ripetere l’agoaspirato, con sommo sollievo della giovane paziente e dei genitori.
Anche questo caso dimostra che l’ecografia del collo eseguita da uno specialista dedicato alla patologia tiroidea, meglio ancora se endocrinologo, è in grado di ridurre inutili ansie e preoccupazioni, e di far giungere ad una corretta interpretazione diagnostica più velocemente, evitando procedure diagnostiche talora invasive.
CASO CLINICO 4
Paziente con iperparatiroidismo con adenoma della paratiroide mai visualizzato.
Una paziente di 68 anni, affetta da iniziale sindrome nefrosica senza insufficienza renale, presentava da tempo un quadro laboratoristico di iperparatiroidismo primario. Da anni, inoltre, era affetta anche da ipotiroidismo primario autoimmune per cui eseguiva ecografie tiroidee da molto tempo senza, tuttavia, che queste avessero mai evidenziato la presenza di espansi paratiroidei.
Il nefrologo curante, pertanto, suggerisce un’ulteriore ecografia del collo (5/2018) per cercare eventuali paratiroidi iperplasiche (con esito negativo) ed una scintigrafia paratiroidea (5/2018), anche questa negativa. A questo punto, viene suggerita una RMN del collo ed una valutazione endocrinologica che esegue con il sottoscritto. Durante l’esecuzione dell’ecografia (6/2018) che in casi come questo eseguo sempre contestualmente alla visita, appare subito chiaramente evidente, esternamente al polo inferiore del lobo tiroideo sinistro, una formazione piriforme, solida, con margini regolari, nemmeno così piccola (16x9x16 mm), chiara espressione di adenoma della paratiroide inferiore sinistra (figura 4). Sottolineo che la scintigrafia e l’ecografia eseguite appena un mese prima erano risultate entrambe negative, come d’altra parte tutte le ecografie tiroidee eseguite negli anni precedenti. Trovato l’adenoma della paratiroide, quindi, la paziente ha evitato di eseguire la RMN del collo e soprattutto di essere sottoposta ad un intervento chirurgico esplorativo del collo.
Anche in questo caso se l’ecografia del collo fosse stata eseguita da uno specialista dedicato alla patologia del collo sin dall’inizio, la paziente avrebbe evitato di eseguire esami inutili e ridondanti e avrebbe individuato la causa dell’iperparatiroidismo già molto tempo prima.
CASO CLINICO 5
Paziente con neodiagnosi tiroidite cronica, scambiata per tiroidite acuta e tratatta come tiroidite subacuta.
Questo è un caso banalissimo, ma proprio per questo sconcertante. Ovviamente è solo un esempio dei molteplici casi simili che si sono presentati alla mia attenzione durante la mia attività clinica. Ad una paziente del tutto asintomatica (senza febbre né algia al collo) veniva posta (6/2018) una diagnosi laboratoristica di tiroidite cronica. Con questi esami eseguiva un’ecografia (7/2018) con un radiologo che refertava testualmente “tiroide con struttura diffusamente disomogena per aree iperecogene a carattere confluente alternate a foci iperecogeni. Il quadro ecografico depone per tiroidite acuta”. Sulla base di questo quadro laboratoristico ed ecografico l’ecografista, ovviamente non endocrinologo, prescriveva una terapia a base di cortisone per diversi mesi. Terapia eseguita dalla paziente, fino al controllo ecografico con effettuato il sottoscritto (9/2018) in cui, spiego che la patologia di cui era affetta la paziente era una comunissima tiroidite cronica di Hashimoto che il collega aveva “confuso” con una tiroidite acuta (figura 5). Pertanto la terapia con il cortisone, peraltro completamente inutile, andava gradualmente ma immediatamente sospesa.
Questo è ovviamente un caso limite, perché a mio avviso ce ne vuole per scambiare una tiroidite cronica con una tiroidite acuta. Comprendo che quest’ultima sia rara e quindi non sia facile da riconoscere per chi non ne ha mai visto una, ma proprio per questo prima di diagnosticare una tiroidite acuta bisognerebbe essere più cauti. Inoltre, nel caso di diagnosi di tiroidite acuta la terapia è solitamente diversa da quella steroidea prescritta dal collega. Non escludo che l’ecografista, prescrivendo la terapia con cortisone pensasse ad una tiroidite subacuta, patologia un po’ meno rara, ma sempre facilmente confondibile da ecografisti non esperti con una tiroidite cronica. Ma in questo caso non si trattava nemmeno di una tiroidite subacuta, ma di una semplice e comunissima tiroidite cronica di Hashimoto.
In un caso come questo un ecografista endocrinologo avrebbe ben correlato i dati laboratoristici, clinici ed ecografici giungendo alla diagnosi corretta di tiroidite cronica di Hashimoto senza alcuna difficoltà.
Questo caso conferma che, anche in situazioni di patologie molto comuni e banali, a seconda di come venga eseguito l’esame ecografico la diagnosi e le conseguenti terapie possono prendere strade completamente diverse e talora completamente errate.
CASO CLINICO 6
Paziente a cui viene prescritto l’agoaspirato di due voluminosi noduli che, tuttavia, non esistono.
Questo è il caso di una paziente con chiara sintomatologia da tiroidite subacuta (febbre, algia al collo, tumefazioni tiroidee dure e palpabili), esami di laboratorio concordi con fase tireotossica da tiroidite subacuta che per, questo motivo, eseguiva un’ecografia tiroidea con un ecografista radiologo. Il referto riportava “presenza di un nodulo marcatamente ipoecogeno a destra (30 mm) e di uno con le medesime caratteristiche a sinistra (25 mm). Si richiede di entrambi agoaspirato tiroideo urgente” (figura 6).
Giunge pertanto alla mia attenzione per eseguire l’agoaspirato dei due noduli ma, posta supina per eseguire l’ecografia pre-biopsia, mi accorgo che la paziente non aveva nessun nodulo. Quanto refertato (e anche addirittura misurato e visibile nelle immagini del precedente ecografico recato in visone) altro non erano che i due lobi tiroidei completamente ipoecogeni ed edematosi per la presenza di aree di tiroidite subacuta. Quindi, ho dovuto riferire alla paziente, ovviamente con suo grande stupore, che non avrei eseguito gli agoaspirati in quanto i due noduli (riferiti di ben 3 cm e 2.5 cm) in realtà non esistevano. Si trattava di due comuni aree di tiroidite subacuta per cui, con una specifica terapia, tutto sarebbe tornato nella norma come prima senza dover eseguire la biopsia. Cosa in realtà poi effettivamente avvenuta.
Quindi, per fortuna, questa paziente ha evitato di eseguire agoaspirati inutili e, trattata correttamente, ha ottenuto la restitutio ad integrum della tiroide senza manovre invasive, grazie ad un second look ecografico eseguito con uno ecografista endocrinologo.
CASO CLINICO 7
Corpo estraneo nell’esofago.
Questo è un altro caso più unico che raro capitatomi alcuni anni fa (2007). Una giovane paziente (17 anni), apiretica, da circa una settimana lamentava una costante algia nel collo che si acuiva soprattutto alla deglutizione.
Per quest’algia, inzialmente lieve, eseguiva una prima ecografia del collo risultata negativa. In seguito al peggioramento della sintomatologia eseguiva anche una radiografia del collo, anche questa negativa. Nel sospetto di una tiroidite subacuta viene pertanto ripetuta l’ecografia del collo con specialisti diversi, prima una seconda volta e poi una terza volta (con diagnosi di sospetta tiroidite). Ovviamente, nel frattempo alla paziente erano state prospettate anche varie altre diagnosi non organiche come un disturbo d’ansia da trattare con ansiolitici.
A questo punto un collega endocrinologo mi invia la paziente per una mia personale valutazione ecografica. Durante l’esame escludevo categoricamente la diagnosi di tiroidite in quanto la tiroide era perfettamente normale e normoecogena. Tuttavia, la sofferenza della giovane paziente era clinicamente troppo evidente per essere ascritta solo ad un semplice disturbo d’ansia e, valutando con ancora maggior attenzione con la sonda ecografica rilevavo che all’interno dell’esofago era presente una formazione iperecogena lineare, trasversale, che aveva reso edematoso ed infiammato tutto l’esofago (figura 7). In sostanza, si trattava di un corpo estraneo simile ad un ago che si era incastrato nell’esofago della giovane paziente. Tralascio la complicata procedura per estrarlo, ma concludo solo dicendo che si trattava di una spina (non metallica e quindi non visibile con la radiografia) di una spazzola utilizzata per lavare le teglie da cucina. La paziente, infatti, circa una settimana prima, mangiando in un ristorante (ancora ricordo cosa: la parmigiana!) aveva sentito un dolore acuto durante la deglutizione immediatamente scomparso, per poi ripresentarsi nei giorni successivi. In sostanza quest’ago per errore rimasto nella teglia dopo un lavaggio della stessa, era finito nella parmiggiana e, successivamente, inconsapevolmente ingoiato dalla paziente.
Questo caso, oltre alla particolare sfortuna della paziente, evidenzia come la conoscenza della clinica e della diagnostica ecografica endocrinologica e l’esecuzione accurata di esami ecografici sono fondamentali per una corretta soluzione diagnostica-terapeutica.
CASO CLINICO 8
Paziente con ipertiroidismo da Plummer per nodulo immerso misconosciuto.
Questo è un altro caso banale ma molto frequente ed esplicativo. Si tratta di un paziente di 64 anni, già seguito da anni da un collega endocrinologo non ecografista per un TSH basso. Gli ormoni tiroidei (FT4 e FT3 erano stati inizialmente sempre nella norma) e le varie ecografie eseguite negli anni avevano sempre evidenziato una tiroide ecograficamente normale. Negli anni, tuttavia, si era assistito ad una progressiva riduzione del TSH e ad un incremento degli ormoni tiroidei con un vero ipertiroidismo con iniziale sintomatologia cardiologica (extrasistoli). Ovviamente la presenza di un Basedow era stata esclusa dalla negatività degli anticorpi anti TSH-recettore e dal quadro ecografico che continuava a mostrare una tiroide perfettamente nella norma. Il paziente, inoltre, negava l’assunzione consapevole di prodotti iodati.
A questo punto della storia clinica il collega endocrinologo mi invia il paziente per un mio parere. Quando ho posizionato il paziente supino con il collo iperesteso, non appena ho appoggiato la sonda ecografica sul collo dello stesso, è apparso subito evidente un grosso nodulo, di ben 3 cm circa, nel terzo inferiore del lobo tiroideo (figura 8). Questo nodulo, mai evidenziato prima, si scoprirà poi essere un nodulo caldo e quindi essere la causa delle alterazioni ormonali che il paziente aveva da anni (morbo di Plummer). Questo nodulo, aveva una posizione particolare, quasi extratiroidea e nel mediastino superiore, tuttavia era stato sufficiente far mettere il paziente con il collo iper-esteso per farlo evidenziare chiaramente.
I pazienti che eseguono le ecografie con il sottoscritto sanno che metto un cuscino dietro la spalle e faccio assumere una posizione al paziente molto scomoda per qualche minuto. Tuttavia, tale posizione è fondamentale per evidenziare proprio casi come questi. Nella mia esperienza clinica sono innumerevoli i casi di noduli tiroidei, adenomi paratiroidei e linfonodi patologici del VI livello che non erano mai stati mai visti solo perché il paziente non era mai stato messo nella posizione corretta durante l’esecuzione degli esami ecografici. Chi esegue ecografie tiroidee dalla mattina alla sera sa quanto questa “scomoda” accortezza sia fondamentale.
Con questi semplici casi clinici esplicativi, ma assolutamente reali, ho semplicemente cercato di spiegare come l’ecografia tiroidea, esame relativamente semplice, possa nascondere delle problematicità se non eseguita da mani esperte.
A mio avviso, eseguirla con un ecografista dedicato, meglio se endocrinologo, aiuta il paziente ad ottenere una diagnosi corretta, in tempi più rapidi e, conseguentemente, anche una terapia più appropriata.
Prenota una ecografia tiroidea con un endocrinologo a Roma.
Dott. Massimiliano Andrioli
Specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio
Centro EndocrinologiaOggi, Roma
viale Somalia 33A, Roma
tel/fax 0686391386
cell 3337831426
Studio EndocrinologiaOggi, Lecce
via Ruffano 4, Casarano (Lecce)
tel/fax 0686391386
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